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Gay & Bisex

50 incredibili secondi: La visita di controllo di Emanuele - Leo (Spin-Off)


di honeybear
29.08.2014    |    11.611    |    5 8.9
"Ora siamo uno di fianco all’altro..."
Odio le sale d’attesa! Il tempo non passa mai. O meglio, non so mai come farmelo passare.
Oggi per fortuna è diverso! Oggi posso ammirare un incredibile panorama!
Davanti a me, seduto anch’egli ad aspettare gli esiti della visita appena effettuata, un uomo. Sulla trentina, decisamente prestante, con un viso dai lineamenti marcati, incorniciato da un filo di barba castano chiaro, ma soprattutto con dei bicipiti e dei pettorali non indifferenti, contenuti a stento dall’aderente t-shirt chiara con scollo a V. A ciò si aggiungono un paio di jeans a sigaretta che delineano perfettamente le cosce possenti, che leggermente aperte, mi permettono di intravedere "qualcosa" lì in mezzo… Una specie di bozzo che catalia la mia attenzione…
Mi sembra infatti che il suo cazzo faccia una certa fatica a stare fermo dentro gli slip e i pantaloni.
Non nascondo l'erezione che mi suscita. Anzi sollevo i pantaloni sul davanti e mi metto più comodo, così che possa stirarmi meglio e, nell’eventualità che il toro mi osservi a sua volta, sia anche più visibile. Detto fatto, l’uomo alza lo sguardo. Osserva ciò che ho da offrirgli. Abbozza una specie di sorriso e rituffa il naso nella rivista che sta leggendo. Non so se per l'imbarazzo o per l'eccitazione, ma mi pare che più di una volta solleva lo sguardo per monitorare la situazione nelle mie parti basse. Io, che ormai sono solo testosterone, non riesco a non pensare ad altro che alla possibilità di ritrovarmi nudo di fronte a quel ben di dio, come peraltro era accaduto poco tempo prima, nello spogliatoio dell’ambulatorio... Forse è a causa di quella visione se il mio cazzo, balla nei pantaloni. Lo faccio muovere volontariamente, sbattendolo sulla patta, per creare un movimento che chiunque avrebbe notato, tanto più lui,che trovandosi proprio di fronte a me, non ha scelta: o guarda o tiene la testa bassa.
Decide di guardare.
Gli occhi verdi che mi punta addosso, mi fanno arrossire, costringendomi ad abbassare lo sguardo.
Sicuramente eccitato a sua volta, apre ancora un poco le gambe non so se per stare più comodo o se per stuzzicarmi ulteriormente. Sono come inebetito: continuo a fissare i salti del suo pene generati dalle pulsioni che gl’impone. Guardo come ipnotizzato, mentre, a mia volta, mi sento frugare con gli occhi dalle cosce in su... Scommetto che se avesse potuto, me le avrebbe spalancate volentieri, magari infilandoci il suo palo in mezzo... ma la porta d'ingresso si apre ed entra un viso a me noto: è il mio amico Emanuele…
‘Cazzo! Che palle, viene a romperci le uova nel paniere!’ penso immediatamente. Per mia fortuna si limita a chiedere qualcosa alla segretaria che, nascosta dietro il suo alto bancone, non può minimamente immaginare cosa stia accadendo. Emanuele sparisce nel corridoio su cui si affacciano gli ambulatori.
Il brusco risveglio mi fa tornare alla realtà: accavallo le gambe, in modo da cercare di coprire l'eccitazione dentro i pantaloni. Così facendo, forse, ottengo l’effetto contrario: il bozzo si deve notare maggiormente, perché, se lo sguardo penetrante non mi radiografa più, un malizioso sorriso si disegna sulle labbra carnose e, ancora, una mano scende con non curanza tra le sue gambe serrando il pacco come a chiedermi ‘lo vuoi?’
Il tutto mentre la segretaria si alza: una chiamata interna l’informa di qualcosa e la vediamo prendere la stessa strada di Emanuele.
Istintivamente e pudicamente mi copro anche con la rivista che fingevo di leggere.
Eccola di ritorno e, nel passarci accanto annuncia:
“I vostri esiti sono pronti. Appena vi chiamo potete venire a ritirarli insieme alla fattura della prestazione medica”.
Accenniamo di aver capito.
Cazzo! Di certo non posso alzarmi in quelle condizioni: il bozzo sarebbe stato ancora più visibile!
L’unica speranza è di mantenermi calmo, distogliere lo sguardo da quel manzo (che ancora si ostina a sorridermi e fissarmi) e sperare che la faccenda si sgonfi.
Così mi allungo, piegandomi in avanti sul tavolino e prendo un’altra rivista fingendo di leggere anch’essa, rigorosamente appoggiata sulle gambe.
Tiro un sospiro di sollievo quando sento annunciare il mio nome: la cosa sarebbe finita lì. Mi alzo, faccio un cenno di saluto all’uomo e mi dirigo al desk: "Ecco questa è la tua cartella… Una firma qui e puoi andare, grazie! Ricordati di lasciare tutta la documentazione alla…”
“Sì, non si preoccupi. Conosco la prassi!” e con un sorriso, le riconsegno penna e documenti.
Nel girarmi lo urto. Ci guardiamo per una frazione di secondo e mi pare di vedergli strizzare l’occhi:
“Scusami – e mi oltrepassa – Signorina, avrei una certa fretta. Mi chiedevo se…”
“Ma certo! Capisco perfettamente – gli sorride. Evidentemente nemmeno a lei risulta indifferente – Ecco: questo è quanto mi ha chiesto di consegnarle il dottor…”
Non le lascia il tempo di terminare:
“Perfetto! La ringrazio. Saluti Alberto e gli dica che lo chiamerò personalmente...” e sorridendo si dirige verso l’ascensore su cui già mi trovavo.
Le porte si stanno chiudendo ma, con un guizzo, le fa spalancare:
“Per un soffio…” che voce calda e profonda!
“Già…” sorrido imbarazzato.
Ora siamo uno di fianco all’altro. Sento il suo braccio destro sfiorarmi e mi sento ribollire.
La porta si apre al piano terra, dove sono i parcheggi. Mi cede il passo e comincio a guardarmi intorno:
“Qualche problema?”
“No… Nessuno. Sto vedendo se qualcuno è venuto a prendermi!”
“Posso darti io un passaggio se mi dici dove abiti…”
“Solo quello vuoi offrirmi?! – giuro che non sono io a pronunciare quelle parole! Invece è proprio la mia voce che aggiunge - Mi sembrava che avesse altro da darmi!!”
Ecco, ho fatto il casino!
Ho sempre detto che è pericoloso lasciare esplodere il testosterone dentro di me, la reazione è simile a quella che trasforma Bruce Banner nell’Incredibile Hulk!
Evidentemente il danno sta avendo ben altre conseguenze: il maschione si avvicina e mi bacia, lì sulla porta dell’ascensore. Mi riempie la gola con la lingua ed io non posso fare altro che rispondere con la stessa intensità!
Arriva qualcuno: è la segretaria che se sta andando. Apriamo la porta che troviamo a poca distanza da noi e ci precipitiamo dalle scale: siamo nello scantinato.
La porta di un deposito è a portata di mano. L'apre. Scendiamo veloci gli scalini e ci infrattiamo li, nella luce fioca del locale, illuminato appena dai lampioni del parcheggio.
La voglia di scopare di entrambi era alle stelle,riempiva l’aria! Ed ora avrebbe avuto il suo naturale, libero sfogo...
Le mie mani si serrano sul suo pene impazzito, duro da far male; una delle sue afferra invece con decisione uno dei miei capezzoli mentre l'altra preme il mio corpo contro il suo: mi sento stretto in una morsa. Le narici si riempiono del suo profumo di maschio eccitato.
Ebbene sì! È palese: lui è arrapato quanto me, se non di più.
Lascia la presa, si slaccia i pantaloni tirando fuori l'uccello: è bello grosso, dritto e con una vena che lo percorre in verticale... Ma soprattutto è bello largo! E spunta da un piccolo triangolo biondiccio che la depilazione totale ha volutamente dimenticato!
Mi spinge a succhiarlo. Cerco di farlo con la massima decisione e precisione possibili. Gioco con la lingua intorno alla cappella, fermandomi a solleticare il filetto del prepuzio. Alterno quest’azione a quella della mano che lo masturba.
Lo vedo sollevarsi la maglietta, levarsela e mettere in mostra il fisico muscoloso. Lo sento gemere. Lo sento mio… Anche se solo per pochi istanti. Mi solleva, mi spoglia velocemente e mi tocca:
“Com’è caldo. E com’è duro… Scommetto che anche tu muori dalla voglia… - e mi tocca dietro – Eh sì, decisamente anche tu muori dalla voglia. Vero!? Vero!?”
“Sì… Sì…”
“Allora chiedimi di scoparti!”
Esito un attimo. Dopotutto è uno sconosciuto… Uno sconosciuto che mi affascina certo. Uno sconosciuto a cui tuttavia sento di non poter resistere…
“Signore…”
“Devi chiamarmi Padrone…”
Anche se non capisco, ubbidisco: “Signor Padrone. Voglio che mi scopi… Per favore voglio essere scopato!”
“E sia!”
Mi gira, mi piega leggermente in avanti. Mi solleva le chiappe ed entro dentro in un unico movimento.
Grido. Sento arrivare uno schiaffo:
“Non ti ho ordinato di gridare!” la voce è perentoria mentre inizia a sbattermi con passione, foga ed una voglia difficilmente contenibile...
Mi schiaccia contro il muro di fronte, accelerando la fottuta.
Ho la vista appannata: le lacrime di dolore mi annebbiano lo sguardo. Stringo e batto i pugni contro la parete per alleviare il dolore.
Lui se ne frega e non smette di sbattermi con ancora più foga e desiderio...
Quanto tempo è passato? Una decina di minuti, un quarto d’ora forse. Forse di più.
Non lo so e non importa.
Sento solo che ho bisogno di toccarmi per dare sfogo all’erezione che si sta facendo dolorosamente insopportabile. Scendo a toccarmi, ma la sua mano erculea la riporta dov’era, allungandomi una sculacciata:
“Non ti è permesso… Se non te lo dico io…”
Non capisco. Non capisco, ma non me ne importa. Essere impalato da quell’uccello è la cosa che più conta ora!
La monta continua fino a che non mi sento sussurrare:
“Sto per venire… Sto per venire…”
“Lo faccia Padrone!”
“Implorami di farlo dentro di te…”
“Signore… Signor Padrone, le chiedo. Anzi, la imploro di sborrarmi nel culo!”
Non se lo fa ripetere due volte. È oscenamente scatenato: sento una parte dei fiotti inondarmi le viscere ed il resto annaffiarmi i peli del culo ed il buco da cui è appena uscito.
Incredibile! Assolutamente incredibile!
Mi volta. Il liquido denso e caldo mi cola lungo le gambe.
Mi afferra l’uccello: “Chiedimi di farti venire…”
“Signore, per favore vorrei che mi facesse venire…”
Sorride. Sorride beffardo. Lo sguardo tenero che ho visto in sala d’aspetto ha lasciato il posto a questa maschera terrificante, ma che a suo modo mi eccita forse più della dolcezza di prima. Mi aspetto un’azione violenta ed invece lo massaggia lentamente e con precisione.
Gemo, sussulto: non resisto più!
La velocità del massaggio aumenta. Aumenta ancora. Il mio piacere esplode improvviso, colandomi lungo l’asta e la sua mano mentre mi bacia con rabbia, passione e chissà che altro ancora.
Allontana la bocca, avvicina la mano: “Lecca. E pulisci tutto per bene…”
Meccanicamente eseguo: “Bravo! Bravo così, non deve restarne nemmeno una goccia.. Ingoia! Ingoia tutto... Così, bravo!”
Il suo sapore mischiato a quello acidulo del mio seme mi ottenebra la mente. Davvero a stento riesco a credere a quanto sono riuscito a fare.
E credo non sia ancora finita.
Mi lascia libero. Riprendo fiato per un istante e cerco di darmi una ripulita dal seme rappreso lungo le gambe. Lo vedo fare la stessa cosa, con una piccola differenza: il suo pene si mantiene in erezione.
È ancora duro, non ha voglia di riposarsi!
Me lo indica con lo sguardo:
“Sai cosa devi fare, vero?”
“Sì, Signor Padrone…” mi avvicino e generosamente, prendo a masturbarlo. Deciso, goloso e rapido.
Mi guarda soddisfatto: “Ancora non basta...” Capisco subito. Mi piego e torno a succhiare quella mazza dura.
L’idillio è interrotto bruscamente: un suono. È il mio cellulare: “Vai pure a prenderlo..” sorride malizioso.
Guardo la chiamata: “Sono i miei. Saranno venuti a prendermi…”. Il telefono smette di suonare.
“Posso…”
“Assolutamente no! Finisci il lavoro iniziato!”
Un po’ preoccupato torno a succhiargli l’uccello: “Non avere fretta – mi redarguisci, sollevandomi con violenza la testa – te ne andrai quando sarò io a decidere, chiaro?”
“Sì, sì Signor Padrone” e mi dedico con foga a regalargli un piacere che lo porta alle stelle: poche pennellate di lingua e lo sento venire dentro la mia bocca. La sborra scende in gola, ingoio tutto. Lecco le gocce che sono sulla cappella e torna ad infilarmelo in bocca per un'altra lappata.
Mi solleva e mi guarda, sorridente: “Vedo che stai imparando a servirmi a dovere - mi sussurra baciandomi – bravo! E adesso girati…”
Guardo verso il basso: non posso crederci! Ce l’ha ancora duro.
Di nuovo il mio cellulare:
“Vai!” e mentre mi chino per prenderlo dalla borsa, sento le sue mani serrarmi i fianchi. La cappella che punta e che, violenta come la prima volta, mi impala senza pietà. Mi manca il fiato, ma lui implacabile mi ordina:
“Ora puoi rispondere…” e lentamente prende a stantuffarmi.
“Pron… Prontoooh… Sì, siiii… Papà, papà...”
Una pacca violenta mi sferza una chiappa: “Cerca di non mugugnare come la troia che sei… Stai parlando con tuo padre dopotutto!”
Faccio davvero fatica a mantenere il contegno richiesto. I colpi che vibra sono animaleschi e solleticano la mia povera prostata all’inverosimile e, soprattutto, senza pietà alcuna.
Tutto sommato credo di essere riuscito a convincere mio padre che va tutto bene e di avere un attimo di pazienza: tra poco mi consegneranno i documenti e scenderò per tornar a casa. E… Il fiatone?! Colpa del saliscendi per l’elettocardiogramma sotto sforzo.
Mentre sono ancora al telefono, sento la sua mano sul mio pene: mi sta masturbando. Vuole mettermi ulteriormente in difficoltà. Chiudo in fretta la chiamata. Mi strappa il cellulare e scaraventa nella borsa.
Gli ultimi colpi che vibra mi sconquassano letteralmente: mai provato tanto dolore e tanto piacere in una sola volta:
“Ti piace, eh!? Ti piace sentire la mia nerchia dentro questo buco stretto stretto, vero!? Vero!?”
“Sì, sì Signor Padrone. Mi piace… Mi piace da impazzire… Da impazzire… La prego, non smetta. Non smetta, la supplico!”
“Sta tranquillo, non lo farò! Almeno fino a che non avrò finito…”
E quei brevi momenti sembrano durare un’eternità. Si sfila.
Mi gira. Lo guardo: è semplicemente stupendo. Uno sconosciuto assolutamente divino e potente. Mi attira a sé, stringendomi. Inizia a masturbarsi. A masturbarci.
Mi incita: "Dai vieni, piccola troia che non sei altro! Sborra, fammi vedere quanta c'è ne ancora dentro alle palle ! " Lo prende in mano con me ed insieme, continuiamo quella splendida sega a due mani... Sborro, spruzzo a destra e a sinistra, soffocando l'urlo che mi sale dalle palle... Lo lascio a lui, che continua, eccitato come non mai, a masturbarsi: lo tira, lo stira, ci gioca.. toglie le ultime gocce sulla cappella stringendolo con le mani.
Mi fa chinare ancora una volta. L’aria viene infine squassata da un urlo animalesco: viene anche lui. Sulla mia faccia. Sulla mia bocca.
Poi, mentre mi aiuta a rimettermi in piedi, mi ordina: “Dammi il cellulare!”
Lo vedo armeggiare per qualche istante e rendermelo:
“Ora ho il tuo numero di telefono. E tu il mio. Non potrai usarlo. A meno che non sia a chiedertelo. Ti voglio come schiavo, penso tu l’abbia capito. Ti lascio qualche giorno per pensarci: se quando ti richiamerò risponderai, sarai mio. Diversamente, è stato un piacere giocare con te in questo scantinato! Ora rivestiti, tuo padre ti aspetta…”
Lo facemmo entrambi. In silenzio. Un silenzio greve. Carico di aspettative.
“Come… Come ti chiami?”
“Per te sono semplicemente il Padrone!”
Salimmo scale insieme e ci salutammo davanti all’ascensore.
Uscimmo separatamente. Raggiunsi mio padre.
Nel tragitto verso casa non spiaccicai parola.
Dopo quella serata la mia vita riprese con i suoi ritmi.
Ero certo che il discorso dello schiavo e del telefono fossero uno scherzo… Ma se avesse chiamato davvero, cosa gli avrei detto? Cosa avrei deciso? Cosa significava essere uno schiavo?
Avrei dovuto rispondere a quelle domande prima di quanto mi aspettassi: un pomeriggio qualsiasi il cellulare squillò
Il Padrone mi stava chiamando…

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